Con repentini flashback il pubblico che assiste allo spettacolo “Caravaggio – Il maledetto” viene sbalzato da Porto Ercole a Roma, dagli ultimi istanti di vita al ricordo della voce della madre, dagli incontri con il cardinal del Monte all’amore per Lena, la prostituta il cui volto ritroviamo in molti dipinti del Merisi.
Sullo sfondo le sue grandi opere ad accompagnare il racconto di una vita travagliata e troppo breve.
Il suo immenso talento mescolato a vicende umane complicate si è tradotto su tele preziose per noi con la ricerca della luce perfetta e della fedele riproduzione della vita reale del ‘500.
Ogni pennellata di Merisi rilascia colore e sapore di verità. Quasi fotografie di attimi che ci parlano attraverso uno sguardo, un gesto, un corpo.
L’eccessivo realismo fu all’epoca spesso considerato sconveniente e poco commerciale. Attraverso la natura morta ci arriva tutto il senso della caducità della vita, ma è nei volti dei personaggi che ritroviamo il bisogno comunicativo di un pittore che aveva qualcosa da dire oltre la semplice stesura di colori. Come nel caso di “Giuditta e Oloferne” probabilmente emotivamente ispirato dalla decapitazione della giovane Beatrice Cenci, giustiziata per aver ucciso il padre violento.
Michelangelo Merisi uccide Ranuccio Tomassoni ed inizia la sua fine con la fuga da Roma e la malaria che lo annienta.
Oggi, con questa opera teatrale, tratta da “Caravaggio, probabilmente” di Franco Molè, con Primo Reggiani, Francesca Valtorta e Fabrizio Bordignon, con adattamento e regia di Ferdinando Ceriani, riviviamo le emozioni e i tumulti di un animo divorato dalla pittura e da un insaziabile appetito di vita.
Applausi e ancora applausi per uno spettacolo straordinario.
Alessia Satta